Articolo su mostra al Cinema Lumiere

PISA – Novembre Dicembre 2010. Nella hall del cinema Lumiere, che sempre più mostra una sua vocazione a contenitore artistico,sarà inaugurata oggi alle 19 la mostra di pittura “Proiezioni”, con opere di Marco Rigacci. La mostra ad ingresso gratuito, è aperta durante l’orario delle programmazioni cinematografiche.

“Presento in questa esposizione- racconta l’autore- opere dipinte tra il 94 e il 2000, tappe di un percorso in cui esploro la possibilità di esprimere sogni e visioni attraverso l’uso emotivo del colore. Una via diretta, non mediata da filtri intellettuali, un approccio personale e spontaneo quasi corporeo in cui affido alla poesia e alla forza ispiratrice del Colore il compito di proiettare sulla tela la mia percezione del mondo, interiore ed esteriore”.

La mostra è curata da Deborah Zito, mentre sono sempre le parole dell’artista a illustrare i suoi lavori.

“Pittore autodidatta, artigiano, apicoltore – dice Marco Rigacci – ho sempre usato le mani per lavorare. Uso i pennelli con simile fisicità. Non mi affido a tecniche elaborate, non seguo cifre stilistiche convenzionali, ma mi immergo istintivamente nell’universo cromatico e nel mondo delle forme attraverso la totalità sensoriale di un approccio immediato. Nelle opere “antinaturalistiche” che presento oggi al Lumiere la fonte prima di ispirazione è sempre e comunque la Natura. Natura che per me non è un insieme di dati oggettivi, ma un caleidoscopio di ritmi, forze contrapposte , coincidenza e dinamismi insiti nell’essenza di ciò che esiste e ci circonda. Le mie opere esprimono un viaggio all’interno delle libertà della coscienza e dell’emozione, sono “proiezioni” di un io che riflette i colori del mondo e ne rinvia intorno alla luce”.

“L’espressionismo onirico di Marco Rigacci” di Ilario Luperini

Da quando, alla fine del XIX secolo, l’attenzione degli artisti ha cominciato a spostarsi dalla realtà esterna alla complessità del mondo interiore, si è formata un’infinità di rivoli e un altrettanto vasto panorama di compresenze stilistiche. In particolare l’attività creativa è diventata, tra l’altro un modo
per fare emergere di turbinio di pulsioni che abitano la coscienza nei suoi diversi livelli di profondità. Sosteneva Derain che i colori sono come candelotti di dinamite, strumenti per fare esplodere e liberare le disarmonie. Una lezione che Rigacci non dimentica; non so quanto consapevolmente, ma il suo modo di procedere è assai analogo, specialmente negli ultimi dipinti:
colori violenti e brillanti accostati in modo innaturale per esasperare le tensioni, le inquietudini esistenziali con un linguaggio fortemente antinaturalistico.

Il percorso creativo di Rigacci è in continuo crescendo: prende le mosse da una rappresentazione ingenua e fortemente naif per giungere, almeno in questa fase, ad una ricchezza cromatica elaborata ed esplosiva, costruita attraverso la sperimentazione di supporti di varia natura, dalla tela a materiali edili – pannellini fonoassorbenti, per esempio- per esplorare varianti cromatiche sempre più complesse . Rigacci non ama la figura e quando la tratta sembra procedere con evidente impaccio, ma non arriva mai alla pura astrazione;il soggetto rappresentato è quasi sempre riconoscibile. Ancora oggi le sue figure- quando appaiono-sono sempre ridotte all’elementarità. Mostra un atteggiamento istintivo verso la pittura, sorretto da una visione spontanea e fantasiosa della realtà; un modo di dipingere attraverso tecniche lontane dai canoni della cultura artistica istituzionale. Il pittore pare spingersi verso la ricerca della poesia del colore utilizzato in chiave emotiva, rivolgendo le proprie attenzioni non tanto alla realtà dei fenomeni visibili, quanto a quella più intima ed emozionale, per imporre una sostanza ritmica e dinamica alle proprie emozioni individuali. Ogni suo sforzo è teso ad esprimere la propria psicologia piuttosto che badare alla creazione di un linguaggio visivo coerente.

Eccolo, dunque, esprimersi attraverso superfici inquiete e contorte, dominate da un colore cromaticamente acceso ed esasperato, in una sorta di espressionismo onirico che crea un alone di energia vibrante attorno alle figure; il colore quale elemento fondamentale la costruzione materiale dell’immagine, sulla scorta delle sperimentazioni attuate dalle prime avanguardie storiche. Alcuni temi- la natura, gli animali – rivisitati attraverso l’azione transfiguratrice dell’emozione e della introiezione psicologica , ricorrono con frequenza e sono investiti da questo suo ardito entusiasmo per il colore impastato, violento per carica emozionale. Ma il suo mondo non è perverso da intenzionalità puramente estetiche. Rigacci è animato da una forte umanità tesa a cogliere, senza enfasi ne retorica, ma con estrema convinzione, quella spontaneità originaria che l’uomo ha perduto. Si avvicina a un ideale di vita incontaminata, pura e senza costrizioni. Per questo, il suo lavoro non pecca mai di decorativismo e i suoi colori antinaturalistici ora si distendono in dense pennellate a comporre larghe campiture, ora vibrano in frammenti luminosi; in ogni caso i colori accesi stravolgono e deformano il dato oggettivo, anche se alcuni dipinti sono ancora legati all’impressione naturale, segnati dal ricordo di elementi naturalistici e altri, invece, più astratti, ma mai – giova ripeterlo- completamente svincolati dalla rappresentazione oggettiva. Il suo lavoro è di scavo; spontaneo, istintivo, ma di scavo; dentro se stesso, ma anche nella struttura intima dell’elemento naturale indagato che, spesso, pare sottoposto all’azione di una lente d’ingrandimento. In questi suoi saggi, Rigacci sembra affidare alla pittura una sorta di rifondazione della coscienza, in un continuo rapporto tra realtà esteriore e insondabilità dell’inconscio. Ecco perchè in questo pittore sarebbe sbagliato cercare una coerenza stilistica; il suo modus operandi determina una grande libertà nella forma, poiché il suo intento è quello di far sorgere l’opera dal vortice emozionale dei sensi.

“Marco Rigacci e la liquida fantasia” di Roberto Braida

Nell’osservare l’opera di un pittore è buona norma non arrivare mai a rapide conclusioni o a frettolose valutazioni pena incorrere in analisi insufficienti nei contenuti, in enigmi che rimangono irrisolti o in linguaggi espressivi da decifrare. Non fa eccezione Marco Rigacci che ho avuto modo di conoscere recentemente e che mi ha incuriosito, con la sua arte, per alcuni aspetti che reputo riuscitissimi e stimolanti. Chi cerca in questo pittore codici espressivi “tradizionali” e facilmente leggibili non li troverà, c’è un altro contenuto poetico che satura le sue opere, le intime visioni che muovono in lui lo portano a creare con disinvoltura espressiva, delicata ma incisiva.
Già istintivamente i suoi dipinti vogliono soddisfare più l’anima che non la visione estetica fine a se stessa e per questo emozionanti.

Egli è un espressionista o così si definisce, ma possiede alcune naturali inclinazioni creative che arricchiscono i suoi lavori, ben strutturati, progetti virtuosi che fanno emergere col proprio sentimento creazioni capaci di dinamismi inaspettati, tracce e testimonianze di una pittura che si evolve assieme al suo inconscio e si libera, diviene immagine, dando origine ad una verità intima e incontaminata che traspare, ognuna testimonianza di un momento di vita, ognuna un momento di fantasia, sempre intenso e mai scontato, calibrato nel gesto pittorico a rilasciare libertà di espressione e di colore. E il colore, fatto importante anche per Rigacci è, ancor prima della forma, il braccio a volte poetico e lirico o gestualità che partecipa alla sua indagine artistica, profonda e trasparente, capace di avvolgere l’osservatore e di coinvolgerlo con la propria sensibilità, nella libera condizione del “creare”, senza vincoli o imposizioni in quel mondo di liquida fantasia che diviene libertà.

“Marco Rigacci tra astrazione e figurazione” di Davide Pugnana

I termini della questione sono antichi: quanto è lecito mescolare, in uno stesso spazio pittorico, la volontà di rappresentazione naturalistica e una spinta verso il suo allontanamento, verso cioè territori cosiddetti astratti, nei quali le forme siano segni puri che rimandano al loro potere evocativo? È davvero possibile tenerli uniti? Oppure ciò che è figurativo deve rimanere chiuso in una sua assoluta purezza visiva? Sono questi interrogativi ai quali la storia dell’arte, soprattutto del secolo scorso, ha dato molteplici risposte, spesso con esiti imprevedibili. Ma la loro persistenza non smette mai di toccare da vicino la ricerca di ogni singolo pittore che intende attraversare sia le risorse della figurazione che quelle dell’astrazione. Sono questi gli artisti più inquieti, coloro per i quali il vocabolario della pittura non è mai risolto una volta per tutte; ma le sue possibilità espressive sono sempre aperte verso soluzioni diverse. La questione, semmai, è se l’artista riesca a passare dalla figurazione all’astrazione, e viceversa, mantenendosi coerente all’unità interna dell’opera d’arte. Pur avendo dalla sua parte una produzione ben ancorata a un percorso individuale, Marco Rigacci non è un pittore che sa accontentarsi di un unico filone e procede vagliando diverse configurazioni di realtà dipinta. Anche per lui vale la compresenza di esiti naturalistici e affondi astratti. Ne è la testimonianza la produzione più recente. Prendiamo, a mo’ d’esempio, un quadro come “casa nel bosco” nel quale alla registrazione figurativa della casa del tetto rosso, risolta in una spazialità diagonale, risponde la resa della vegetazione circostante che, da una restituzione ancora naturalistica nella parte bassa a destra, trascolora in un arabesco di puri segni astratti nel resto della partitura dipinta, con paesaggio che non stride, ma fa sembrare coerenti e coesi i due livelli di espressione. Questo sapiente dosaggio, capace di leggere i dati di realtà secondo più lenti, è il late motive dell’ultimo ciclo di opere. Potremmo citarne molte altre. Tra le varie vorrei i solare, come campione ideale, “Palmaria libera”, un dipinto magistrale per il bilanciamento tra restituzione del dato naturale, del brandello di una realtà marina suggerita dai verdi e dai blu del mare e della vegetazione, e, nel contempo, allontanamento da un realismo descrittivo a favore di una scacchiera di forme stratte che evocano la sinfonia sensoriale di luci e colori propri di un’immersione totale nel contesto dell’isola.

Anche in questo dipinto, Rigacci dimostra di saper miscelare al meglio il gusto per il naturalismo e spinta l’astrazione più marcata. Altri dipinti come “l’urlo” utilizzano forme della realtà (in questo caso sagome che evocano fiori) per esaltare in maniera incisiva il boato di luce che pervade l’intera tela nella soluzione dei gialli e dei bianchi spinti a un alto stato di saturazione. Nel caso di tele come “l’interno di un orto” la registrazione di un lembo di vegetazione, visto come sotto una lente d’ingrandimento. […]